Mi affascina e allo stesso tempo mi fa riflettere profondamente, ogni volta che mi imbatto in quel passo evangelico, in cui Gesù dice: “la bocca parla dalla pienezza del cuore”. Lo afferma in un contesto in cui parla della responsabilità della parola senza fondamento e dichiara così l’ipocrisia colpevole di scribi e farisei,
bocca e cuore sono connessi. Come acqua che trabocca dal bicchiere colmo fino all’orlo, così la parola deborda nella vita di tutti.
Mi complisce l’accusa di Gesù a farisei e scribi, veri manipolatori e falsificatori del linguaggio non solo religioso, i quali non possono a motivo del loro cuore malato, perverso e ingannevole, pronunciare parole di luce, parole che nutrono l’interiorità propria e altrui.
C’è qui una verità che attraversa tutto il nostro mondo iperconnesso e sempre più orientato a custodire ‘la parola del potere’ e non riconoscere più l’umilissimo ‘potere della parola’.
In fondo, farisei e scribi sono una icona modernissima e di questa gente ne è piena il mondo. É piena di coloro che hanno perduto il dialogo con se stessi, con la propria anima, e lo hanno perduto nella misura in cui le grandi verità dell’esistenza si sono allontanate dal propio orizzonte. Anche la familiarità con tutto ciò che di sacro e santo è presente in questo mondo, seppure come seme, si è come rarefatta, e forse, per questo è smarrita in noi l’innocenza e la semplicità dei bimbi e dei lattanti i soli che posseggono parole luminose e non ostili.
Il cammino verso l’interezza della parola è perciò necessario. Ne va della nostra bellezza di vita, perché dire ‘interezza della parola’ significa afferrare ‘l’interezza della esperienza umana’ tout court. Laddove non si parla, non c’è dialogo faccia faccia, non c’è ascolto e silenzio attivo, la vita non fiorisce, resta come in attesa di un compimento che no arriva mai.
A guardar bene il legame tra parola e cuore è centrale nella predicazione del Maestro, per diversi motivi. Anzitutto perché – lui dice – ogni parola ha come fondamento il cuore, il centro vitale dell’esistenza umana. In questo senso possiamo affermare, poichè spesso ‘cuore’ e ‘anima’ sono intercambiabili nel lessico biblico, che ogni parola nasce dall’anima, dal quell’invisibile luogo in cui l’esistenza cura se stessa e spinge a prendersi cura dell’altro e degli altri.
Ad ogni modo, è chiaro che soprattutto certe parole rendono udibile la musica dell’anima, trasfondono l’armonia o la disarmonia che ci abita. Certe parole appunto, non tutte. Specialmente quelle pensate, intenzionali, coscienti, calme, quelle che nel pronunciarsi sanno perfettamente cosa stanno dicendo.
Nelle parole appare così l’invisibile che è in noi. Appare tutto ciò di cui ci siamo presi cura o quasi inconsciamente ciò che non abbiamo curato. Aut aut, tertium non datur.
Si badi la parola mostra chi siamo, diversamente da cio che mostriamo nei gesti e nelle azioni. ma questa è altra cosa.
Per questo l’educazione in generale (e non la semplice istruzione) come esercizio metodico di un parlare sempre con fondamento e competenza, è una pratica importantissima nell’a nostra socialità attuale. Nell’educazione è in gioco la nostra postura nel mondo. E quell’esercizio costante, ricco di speranza, implica un trasformazione del pensare, un lento ed inesorabile cambiamento nell’agire, e alla fine un assestamento del carattere di ognuno di noi, una sistemazione del proprio stile di vita.
Noi abbiamo smarrito l’ampiezza e la profondità di ‘queste sacre parole’, le sole capaci di farci crescere e abitare questo mondo in modo giusto e santo. Queste sacre parole possono generare incontro tra persone, animare culture diverse, far interagire generazioni diverse.
Oggi ne abbiamo nostalgia.
Ne abbiamo nostalgia in particolare quando prediamo coscienza delle tipiche fragilità dei nostri tempi: solitudine, affanni, ricerca di senso, rottura dei legami, prevaricazioni, invadenze, violenze gratuite. Ne sentiamo nostalgia quando la parola della vita si decentra e si riduce, quando la sua ampiezza cede il passo a parzialità asfissianti, quando si muove verso una esclusiva oggettivazione scientifica o migra verso un sentimentalismo senza futuro; quando si arrocca dentro descrizioni tecniche o si alimenta di pura potenza dell’AI generativa, quando si cerca l’affabulazione o la pura retorica di matrice sofistica e si dimentica di ricercare il vero bene. Sì è vero, siamo diventati più potenti a padroni del mondo, ma non per questo siamo felici.
In tutte quelle cose l’aridità del cuore ci sopravanza, il desiderio di incontro e di comunione, la ricerca dell’amicizia vera e dell’amore perfetto ci grida dentro. Forse davvero avevo visto bene il filosofo Ludwig Wittgenstein quando scrisse :”Noi sentiamo che se pure tutte le domande possibili della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” (Tractatus logico-philosophicus, prop. 6)