La qualità del dire dei sacerdoti non è misurabile a partire da temi aperti e dibattuti dalla sola ragione, ma sul fatto che il loro pensiero si applica a ciò che la Chiesa chiama Parola di Dio perché questa luce invada la nostra storia Una Parola che non viene da Socrate o Omero o Husserl, ma appunto “da Dio”.
Se fosse solo una discussione di concetti umani non avremmo ciò che la Chiesa attende, ma infinite discussioni e tristezza (tristia). Il cuore non si riempie mai.
Il buon parlare si misura perciò da questa fedeltà a ciò che ci precede, ci rimane non manipolabile e in un certo senso ci abita.
Ma una buona comunicazione non è frutto della sola relazione tra ragione e Parola, perché è necessario arrivare a produrre nelle persone una ricerca di Dio, una permanenza nella verità della propria vita.
Per ottenere ciò le capacità umane sono insufficienti, ci vuole una luce che illumina, intelligenza che penetra il mistero, un’apertura nelle cose del mondo, ed una forza che tocchi i cuori aprendoli al mistero di Dio. Questa luce e forza è Lo Spirito Santo.
Quindi il dire Dio si fa in tre: L’uomo, la Parola di Dio, Lo Spirito Santo.
L’uomo, con tutta la sua ricerca ed il suo metodo, la Parola di Dio con tutta la sua storia di senso ecclesialmente accertato, Lo Spirito Santo apportatore di luce e forza che tocca la mente ed invade il cuore di chi parla e di chi ascolta.
In questo quadro Il dire del sacerdote non sarà mai vecchio, al contrario sarà gioioso e attraente. Semplice e profondo.
la gente cerca questa parola dal prete perché la sua giornata sia nuova.
“Infatti le labbra del sacerdote
devono custodire la scienza
e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione,
perché egli è messaggero del Signore degli eserciti”. (Mal 2,7)