“La Sapienza insegna alla luce dell’amore, e mi ordina di dire in che modo sia stata gratificata di questo dono della visione… “Ascolta queste parole, creatura umana, e ridille non secondo te, ma secondo me, e, da me istruita, parla di te così”.
Nella mia prima formazione, quando Dio mi diede origine nel grembo di mia madre con il soffio di vita, mi infisse nell’animo questa visione. Infatti, nel millecentesimo anno dall’incarnazione di Cristo, la dottrina degli apostoli e l’ardente giustizia ch’egli aveva costituito sui cristiani e gli spirituali prese ad allentarsi e divenire esitante. In quegli anni nacqui, e i miei genitori tra i sospiri mi dedicarono a Dio. E nel terzo anno della mia vita vidi una luce tale che il mio animo ne tremò; ma dato che ero piccola non potei raccontarlo. Ma nel mio ottavo anno venni offerta a Dio, consegnata alla vita spirituale, e fino al mio quindicesimo anno vidi molte cose, e parlai di molte di esse semplicemente, cosicché chi mi ascoltava si meravigliava, e si chiedeva da dove venissero o di chi fossero le cose che dicevo.
Allora anch’io mi meravigliai di me, poiché quando vedevo queste cose nel profondo dell’anima mia, mantenevo anche la vista esteriore, cosa che non ho sentito di alcun altro essere umano. E per quanto potei nascosi la visione che vedevo nella mia anima. Ero molto ignorante sulle cose del mondo, a causa della frequente malattia di cui soffro dal tempo del latte materno fino ad ora: essa macerava la mia carne e per essa le mie forze venivano meno.
Da tutto ciò sfiancata, chiesi a una mia nutrice se vedesse qualcosa oltre agli oggetti esterni. “Nulla”, rispose, perché non vedeva alcuna di quelle altre cose. Allora, assai spaventata, non osai parlarne ad alcuno; tuttavia, parlando o componendo, ero solita dire molte cose riguardo al futuro, e quando venivo pienamente perfusa dalla visione, dicevo molte cose impenetrabili (aliena) a chi mi ascoltava. Ma quando la forza della visione (durante la quale mi comportavo più da bambina che secondo i miei anni) si allentava un po’, mi vergognavo profondamente, e spesso piangevo, e molte volte avrei volentieri taciuto, se avessi potuto. E per il timore che avevo della gente, non osavo dire a nessuno come vedessi. Ma una certa donna nobile, cui ero affidata per l’istruzione, lo notò e lo confidò ad un monaco che conosceva.
… Dopo la sua morte, continuai a vedere in questo modo fino al mio quarantesimo anno. Allora, in quella stessa visione, fui costretta da una grande oppressione (pressura) dolorosa a manifestare quel che avevo visto e udito. Ma avevo molta paura e vergogna a dire ciò che per tanto tempo avevo taciuto. Però le mie vene e il midollo erano allora piene di quella forza che mi era sempre mancata nell’infanzia e nella giovinezza.
Queste cose comunicai a un monaco che mi era maestro… Stupito, mi comandò di scrivere di nascosto queste cose, finché potesse capire cosa fossero e donde venissero. Comprendendo infine che venivano da Dio, lo comunicò al suo abate, e da allora con grande entusiasmo collaborò con me in questo (scrivere) . Nella stessa [esperienza di] visione, compresi senza istruzione umana gli scritti dei profeti, i Vangeli, le opere di altri santi, e di alcuni filosofi, ed esposi alcuni brani tratti da essi, benché a mala pena sapessi di lettere, dato che mia maestra era stata una donna non colta. Ma composi anche canzoni e melodie in lode di Dio e dei santi, senza che nessuno me lo insegnasse, e le cantavo, anche se nessuno mi aveva insegnato la notazione musicale o il canto.
Quando questi fatti vennero riferiti e discussi in un’udienza alla Cattedrale di Magonza, tutti dissero che c’era la mano di Dio, e di quel dono profetico di cui un tempo avevano parlato i profeti. Quindi i miei scritti furono recati a papa Eugenio, che allora si trovava a Treviri. Con gioia egli li fece leggere di fronte a molta gente, e li lesse egli stesso e, molto confidando nella grazia di Dio, mandandomi con una lettera la sua benedizione, mi comandò di affidare allo scritto qualsiasi cosa vedessi o udissi nella visione, in modo ancor più completo di prima.”
(Ildegarda di Bingen, Vita)



