Sulla parola quotidiana | Pensieri

La parola è un ponte. 

Lo ripeteva spesso un geniale monaco ortodosso, Pavel Aleksandrovič Florenskij,  matematico, filosofo, teologo, astronomo, e molto altro ancora, morto fucilato dal regime sovietico, nel ’37. 

Ma Florenskij parlava di un ponte particolare. Non costruito solamente come un puro legame tra gli uomini. Egli vedeva la necessità di qualcos’altro, lo intendeva sopratutto come un arco di luce e di forza che salda interiorità e visibilità nel suono delle nostre parole. 

Nella parola mondo visibile e mondo invisibile si danno appuntamento. 

Infatti quando diciamo il mondo, quando parliamo delle cose che ci circondano noi non spieghiamo solo come sono fatte le cose. No! Noi andiamo oltre. Il cielo, le stelle, le piante, gli animali e i volti, i fatti che ci accadono noi li assorbiamo e li trasferiamo nelle nostre parole, nei significati che diciamo agli altri, ma lo faccio a partire dalla nostra interiorità.  In tali parole noi comunichiamo  il nostro modo di vedere il mondo ed insieme – si badi – comunichiamo il nostro modo di essere. La bocca parla della pienezza del cuore dice Gesù. È sempre così. Non parlo della parola della scienza ma di quella della vita. 

Ma non finisce qui.

Quando parliamo di noi stessi, della nostra vita, delle nostre esperienze, del quotidiano vissuto, stiamo immettendo nelle nostre parole, il nostro livello di comprensione della realtà, il frutto della nostra esperienza vissuta in prima persona. Li diciamo ciò che abbiamo maturato dentro. 

Così nelle nostre parole allora appare l’invisibile che ci abita. Il senso che accordiamo ai nostri occhi. 

Le nostre parole, quelle del quotidiano, non solo quelle della fredda scienza, della pura oggettività. Ma sono quelle che stanno al centro di quel ponte immaginario tra cuore e mondo. 

Ecco allora la parola quotidiana vive esattamente tra questi due mondi e si regge esattamente se tiene uniti il visibile fuori di noi e l’invisibile dentro di noi. Di essa noi ci nutriamo e ci sediamo per costruire relazioni umane importanti e autentiche.

Così l’interiorità getta luce sul visibile, ci cambia lo sguardo su ciò che sta fuori di noi e questo a sua volta ha il potere – lento ed inesorabile – di modificarci, plasmando il nostro complessivo modo di stare al mondo.

I ponti si sa ogni tanto vanno messi in sicurezza. 

Possono decadere e addirittura implodere. A Catanzaro ad esempio, il viadotto Morandi, è stato da poco rimesso in sesto. Ogni sua parte è stata fortificata e dove è stato necessario, anche i ferri del cemento armato sono stati rimessi a nuovo.

Così anche il ponte delle nostre parole di tanto in tanto va rimesso ‘a nuovo’.

Con il passare degli anni alcuni rischiano di avere termini sclerotizzati, radicalizzati in significati errati e anti-umani. Si entra in quella malattia che è la ripetizione dell’uguale. L’inferno dell’uguale! La parola si omologa, si ripete senza pathos perché l’interiorità si bloccata, non cresce, anzi si è modificata annebbiando il vero e il bello,  rinunciano ad ogni profondità. Tutto è uguale,  tutto è senza gioia. 

La domanda è allora questa: “come nutriamo le nostre parole?”, “come le rendiamo vive come il fuoco?”. In altre parole,  come facciamo che la vita sia degna di essere vissuta cristianamente e umanamente e si arricchisca sempre più di interiorità e mondo?

Questa è la domanda da cui ripartiremo domani sera nel secondo incontro sul ‘dialogo’.

A domani!