Tutti i nostri dottori più sapienti, nobili e santi, sono stati d’accordo nel sostenere che il mondo visibile è l’immagine verace di quello invisibile e che il nostro creatore può essere conosciuto e visto dalle creature contemplandolo come in uno specchio e per enigma.
Questa verità, cioè che le realtà spirituali, di per se intangibile, possono essere studiate mediante simboli, ha la sua radice in ciò che abbiamo detto… : tutte le cose hanno tra loro, reciprocamente una certa proporzione – a noi tuttavia celata ed incomprensibile – sicché da tutte sorge un unico universo e tutte nell’uno massimo sono l’uno medesimo. E sebbene ogni immagine sembri raggiungere la somiglianza del modello, tuttavia eccentuata l’immagine massima (che è identica al modello nell’unità della natura – il Figlio consustanziale al Padre – ndr. ) non c’è immagine così simile o anche così uguale al modello, che non possa essere più simile o più uguale, all’infinito.
Quando la ricerca parte dall’immagine, bisogna che non vi sia alcun dubbio su questa immagine, perché è in proporzione ad essa che in modo trascendente procediamo nella ricerca di ciò che non conosciamo, perché il cammino verso la conoscenza dell’incerto è possibile solo procedendo mediante ciò che è presupposto ed è certo.
Tutte le cose sensibili si trovano in una sistemazione di continua instabilità dovute alle possibilità della materia che abbonda in esse. Poi ve ne sono altre più astratte di queste cose materiali […] le quali non sussistono prive della loro possibilità mutevole: allora noi vediamo quelle realtà che sono sicurissime e certissime: e cioè le matematiche. Perciò i sapienti cercano alacremente in questo campo gli esempi da impiegarsi nell’indagine intellettuale di queste cose, e nessuno degli antichi […] affrontò mai problemi più difficili con immagini diverse da quelle matematiche, sicché Boezio … soleva dire che nessuno può attingere la scienza delle cose divine se è del tutto privo di educazione matematica.
E Pitagora, il primo filosofo di nome e di fatto, non pose forse nei numeri ogni ricerca della verità? Lo seguirono i platonici e i primi nostri maestri, sicché Agostino e dopo di lui Boezio, affermarono senza incertezze che il numero è stato nella mente del creatore il modello principale delle cose da crearsi. Aristotele stesso […] come poteva insegnarci la differenza della specie in Metafisica se non confrontandole con i numeri? E, ancora, volendo tramandare la scienza delle forme naturali […] si rivolse necessariamente alle forme matematiche, affermando che l’inferiore è nel superiore come il triangolo è nel quadrangolo. [….] Aurelio Agostino, platonico, quando trattò del problema della quantità dell’anima e della sua immortalità e degli altri problemi più elevati, ricorse all’aiuto delle matematiche [….].
Procedendo dunque in questa via percorsa agli antichi diciamo che se si può accedere alle cose divine solo mediante simboli, potremmo impiegare i segni matematici come quelli più convenienti per la loro certezza indubitabile.
N. Cusano, La dotta ignoranza, Città Nuova, Roma 1998, 75-78.