Applicare la matematica a fenomeni naturali, cioè assegnare a questi ultimi un carattere matematico, può significare diverse cose, a seconda che ci si riferisca a le strutture oppure alla dinamica della natura, alle sue forme disposte secondo un determinato ordine, oppure alla serie di mutamenti, nel cui corso quelle forme vengono alla luce.
Nell’approccio greco abbiamo a che fare con il primo caso.
Per i pitagorici l’interpretazione matematica della realtà consisteva nel definire un tutto strutturale grazie a rapporti numerici – prevalentemente di misurazioni spaziali -, in cui le parti principali si trovavano in relazione reciproca oppure in cui viene a trovarsi esso stesso rispetto a strutture affini.
Questa matrice di proporzioni, mediante cui la molteplicità appare in sé connessa, forniva il suo carattere specifico e ordinatore e veniva quindi vista come il fondamento della sua interezza.
Il “rapporto” (ratio) è il logos di una cosa, ovvero ciò che la rende ciò che è. L’ottava ad esempio ha il rapporto 1:2; questo è quindi il suo logos, il principio del suo essere che precede ogni sua singola presenza e le sopravvive. Dal momento che nell’ordine delle cose la medesima proporzione astratta poteva ripetersi in diverse cose e su scale di grandezza differenti, era possibile stabilire analogie o equazioni attraverso tutto l’universo; e la scoperta di questa possibilità […] bastò a suscitare la concezione universale di un logos onnicomprensivo quale principio di “proporzioni in sé” – di un logos che domina tutto l’universo e proprio grazie a ciò acquista il carattere di un cosmo.
Ne consegue che il logos, nella sua applicazione alla realtà, è un metro di misura selettivo, per il quale alcunifenomeni sono adeguati e altri no. Infatti un vero “rapporto” (ratio) è solamente quello che si può esprimere in numeri interi, “razionali”, mentre le proporzioni incommensurabili sono “irrazionali”: l’illimitatezza si è celata, rappresenta un difetto per lo spirito greco, che teneva in grande considerazione il limite quale segno distintivo del vero essere e presupposto della sua conoscibilità.
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Ora, se lasciamo da parte l’aspetto metafisico e prestiamo attenzione unicamente a come la matematica venga qui applicata ai fenomeni, allora troviamo che questa applicazione è morfologica e non descrive tanto la compresenza di cause che producono un effetto di componenti che hanno a loro volta un effetto, quanto la forma di totalità composite selezionate. I suoi oggetti sono quelle strutture persistenti di forma, che si possono astrarre dal flusso delle cose, ma che non le appartengono e possono venire descritte grazie a rapporti numerici fissi.
La loro espressione costituisce una constatazione del “che” e non una spiegazione del “come” e del “perché”.
H. Jonas, Dio è un matematico? Sul senso del metabolismo, Il Melangolo Genova 1995, 63-65.