Sul significato di salvezza della parola della predicazione e del segno dei sacramenti, scrive il teologo:
” Se ci si chiede quale dei due mezzi abbia la prevalenza, si dovrebbe rispondere che alla parola compete una funzione più ampia e preminente. Questa tesi, pur essendo sostenuta con forza dalla teologia protestante, non è e non deve essere un’esclusiva e una proprietà del protestantesimo; può essere tranquillamente ritenuta anche nella nostra teologia, senza alcun pregiudizio della dottrina e della fede cattolica. Ciò risulta già dal solo fatto che la parola è un costitutivo anche del sacramento. La parola divine reale in modi diversi: è una parola udibile nella predicazione nella predicazione e parola visibile quando si pone il segno sacramentale.
Questo duplice modo della parola corrisponde alla struttura di Gesù Cristo stesso. Egli infatti è il Verbo eterno, preesistente, del Padre celeste, che nell’incarnazione è dovenuto in un certo modo storia e tempo. Tutte le singole parole che Cristo dice sono suoni della Parola eterna, che il Padre pronunzia. In tutte le singole parole di Gesù Cristo è divenuta continuamente udibile la Parola eterna del Padre. Ma nel Logos incarnato la Parola eterna del Padre è divenuta nello stesso tempo visibile. Nella Parola eterna incarnata del Padre è diventata presente la salvezza, che Dio ha destinato agli uomini, di modo che l’offerta salvifica di Dio ha potuto essere ascoltata e vista, e la si potè e la si può raggiungere con la fede nella sua parola ed in lui stesso.
Perciò Cristo è la protoparola e il protosacramento della salvezza”.
M. Schmaus, Dogmatica Cattolica, IV, I Sacramenti, Marietti, Torino, 1996, 6-7.



