Il sofista Gorgia da Lentini (483 a. C. – 375 a. C.) amava dire che: ” Le parole sono farmaci. Alcune infondono coraggio e forza, altre avvelenano l’anima e la stregano”, per lui la potenza della parola poteva perfettamente equipararsi alla potenza dei farmaci e, seguendo le credenze del tempo, persino agli incantesimi magici. Per Gorgia la nostra parola dunque, indipendentemente dalle disposizioni dell’uditore, poiché quest’ultimo proprio udendo quelle parole poteva essere modificato interiormente, aveva la capacità una serie di elementi positivi o negativi.
La parola-farmaco diviene dunque “potere” per l’uomo. Essa vive, forse, non tanto nel dire sciatto e amorfo senza profondità, quanto piuttosto in quella eccellenza del dire e dello scrivere di cui è intessuta la grande poesia, l’atto teatrale, il grande libro. Un “potere” che può riconoscersi anche nella semplicità di parole sagge.
Una buona parola è quella che guarisce.
Così nelle nostre parole o anche in quelle dei grandi geni del passato, nel momento in cui sono pronunciate o nel momento in cui rivivono nel suono delle nostre labbra, si fa presente una forza che ci tocca, ci trasforma, e a volte ci spinge verso nuove scelte o nuovi cambiamenti. Ma la domanda se ed in che modo ciò che è trasmesso è buono o cattivo per noi resta. Se ciò che riceviamo nel dire altrui sia una passione o una verità stabile e duratura è inevitabile che un cristiano se lo chieda.
Per un cristiano infatti nella parola si fa presente qualcosa di più e di diverso delle semplice parole umane.
C’è nel libro degli Atti degli Apostoli un piccolo racconto della vita di Paolo. L’Apostolo si trova a Filippi e li incontra Lidia, una commerciante.
Il testo narra: “il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite. C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: «Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». E ci costrinse ad accettare” (At 16,13-15)
Il testo ci fa capire che non fu la forza persuasiva delle parole di Paolo a far cambiare direzione di vita a quella donna, la parola-farmaco non si attuò per l’azione di un uomo ma fu il Signore stesso ad agire:” il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14) . Paolo parla bene di Dio e Dio non rimane lontano da quel discorso… Egli dice di se a Lidia nelle parole di Paolo, Dio apre il suo cuore al suo mistero.
Così facendo il cristianesimo ridefinisce il concetto stesso di parola umana, non depotenziandola ma inserendola nell’ordine della strumentalità dello Spirito di Dio. Essa può diventare davvero strumento tra Dio e Lidia, può diventare oggi apertura dell’uomo a Dio, grazia.
“O Signore io non sono degno….. ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato” (dalla liturgia).