Bisogna tornare a mettere in discussione il dogma secondo cui la società è basata sulla competizione.
Noi diamo per scontato che proprio la competizione sia il cemento della società, il suo fondamento. Ma se provassimo a prendere la cosa alla lettera e ad applicare la competizione alla nostra esperienza, quotidiana e affettiva, alla vita di coppia e all’amicizia, al condominio e alla scuola, non andremo molto lontano.
In realtà, la condizione umana si sviluppa grazie a processi di cooperazione che, quando diventano profondi, ci consentono addirittura di sperimentare il conflitto costruttivo. Questo è il grande apprendimento umano, poter vivere i conflitti in modo non distruttivo, non lacerante.
Simili esempi ci aiutano realizzare quanto sia perniciosa la mancanza di pensiero, la pigrizia intellettuale, quale danno produca il parlare per frasi fatte, l’attenersi a un’immagine mediatica del mondo.
Se non pensiamo, perdiamo il senso della realtà concreta, che non è mai spontaneo. A differenza degli animali, che aderiscono interamente al momento presente, l’essere umano abita la realtà ma deve elaborare il rapporto con ssa attraverso il pensiero. Tanto che ognuno può vivere in modo diverso, può ignorarla, può deformarla, può nutrirsi di allucinazioni.
La realtà non è scontata, chiede un rapporto lucido, una presenza attiva. Se rinunciamo a pensare, ci accontentiamo di accettare acriticamente quanto ci viene offerto.
Ecco, allora, che il pensiero non è un padrone ma un grande servitore nei confronti della vita e della sua umanizzazione: pensare ci permette di abitare la realtà umanizzandola.da questo punto di vista, l’incuria del pensiero rappresenta un grande rischio. Affiniamo le tecniche logiche, sviluppiamo una razionalità puramente tecnica, oppure puramente sistematica, con cui consideriamo la globalità dei processi, ma intanto perdiamo l’umanità della riflessione.
Sono convinto del fatto che pensiamo non tanto con il cervello quanto con la nostra umanità; il nostro pensiero dipende dal tipo di persone che stiamo diventando, dalla nostra storia, dalle capacità di aprirsi alla realtà, di vivere responsabilmente le relazioni che incontriamo.al contrario il pensiero the cade quando lo riduciamo a uno strumento di dominio, di calcolo, è uno strumento strategico insomma.
Ecco, allora, il senso della parola “cura”, non nel significato astratto di guarigione, nell’accezione medico terapeutica, che tiene a distanza e mette soggezione. Che cosa dovrei fare per avere cura di me? E, in particolare, per avere cura del mio pensiero? Possiamo attribuire un valore umano e concreto al concetto di cura se la intendiamo, da un lato, come un risveglio della coscienza, che riconosce un mondo comune, che ci induce a uscire dal sonno, a liberarci dalla pigrizia, a scollarci di dosso l’atteggiamento di stasi, di paralisi.
Dall’altro lato, è utile pensare alla cura in senso educativo: una cura che coltiva, che fa crescere in umanità
Mancini R. – A. Massarenti, Cura del pensiero, Bologna 2103, 25-28.