Perché non ci basta una bellezza digitale | Byung-Chul Han, filosofo ( 1959 – )

“Il bello naturale è antitetico al bello digitale. Nel bello digitale è del tutto eliminata la negatività dell’altro, di conseguenza esso è completamente levigato e non deve contenere alcuna incrinatura. Il suo contrassegno è il sentimento di piacere privo di negatività, il mi-piace. Il bello digitale costituisce un levigato spazio dell’uguale che non permette alcuna estraneità, alcuna alterità. Il modo della sua manifestazione è il puro dentro privo di qualsiasi esteriorità, e trasforma la stessa natura in finestra di se stesso.

Grazie alla totale digitalizzazione dell’essere viene raggiunta una totale umanizzazione, una soggettività assoluta in cui il soggetto umano incontra ormai solo se stesso.

La temporalità del bello naturale è il già del non-ancora. Esso si manifesta nell’orizzonte utopico di ciò che viene. La temporalità del bello digitale è invece il presente immediato senza futuro, senza storia. Il bello digitale è semplicemente lí presente. Nel bello naturale è insita una lontananza, esso “si nasconde nell’attimo della massima vicinanza”.

La sua lontananza auratica si sottrae a qualsivoglia consumo: “In quanto indeterminato, anzi antitetico alle determinazioni, il bello naturale è indeterminabile, in ciò parente della musica […]. Come in musica, ciò che nella natura è bello balena per sparire subito davanti al tentativo di acciuffarlo”. Il bello naturale non si oppone al bello artistico, piuttosto l’arte imita “il bello naturale in sé” e “l’indicibilità del linguaggio della natura”, e in questo modo lo mette in salvo. Il bello artistico è “copia del silenzio dal quale soltanto parla la natura”


(Byung-Chul Han, La salvezza del bello, 33 – 34)