“Non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il padre vostro, quello celeste” (Mt 23,9). Siamo di fronte a un divieto evangelico che a quanto pare è stato tranquillamente trasgredito dai primi monaci. Questi non hanno esitato a chiamare i loro anziani “padri”, […]
Del resto, non sono stati i monaci i primi a trasgredire il divieto, se di divieto si può parlare.già Paolo, nel suo più antico scritto che noi possediamo, la prima lettera ai Tessalonicesi, rivendica con forza il titolo di “padre” nei confronti dei destinatari. E non solo di “padre” manche di “madre”: è padre e madre insieme, di coloro che hanno nutrito con il latte del Vangelo (cf. 1 Ts 2,7-12). Successivamente lo ribadisce senza problemi nella prima lettera ai Corinzi, precisando la natura della sua paternità: egli ha generato i cristiani di Corinto “in Cristo Gesù mediante il Vangelo” ( 1 Cor 4,15). “Mediante il Vangelo”: la precisazione importante.
Paolo vuole dire che è la parola di Dio, veicolata dal suo ministero, che ha svolto il ruolo di seme fecondante. Al punto che ai suoi occhi la paternità che egli rivendica nei confronti dei cristiani di Corinto esclude rigorosamente ogni altra maternità: “Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo” (1 Cor 4,15)
[…] Paolo i primi monaci-e tutta la tradizione monastica dopo di loro-da dove traggono questa sicurezza? […] Possiamo supporre che quella sicurezza fosse fondata sull’esperienza della vita del credente.infatti, l’esperienza cristiana è innanzitutto una vita, la vita divina.ora, ogni vita si trasmette attraverso un processo di fecondazione, di maturazione, di generazione, per poi sfociare in una nascita.
Andrè Louf, Discernimento: scegliere la vita, Qiqajon, 2017, 83 – 84.