Formarsi un pensiero profondamente cristiano, un pensiero abitato dalla fede e animato dalla carità, un pensiero aperto capace di dare sostanza critica al nostro agire in un tempo di non credenza e multiculturalità è diventato oggi una necessità.
Ma questo tipo di pensiero, richiede da parte nostra un costante lavorio fatto di confronto lento e pensante con esperienze, testi e testimoni provati, capaci di essere punto di riferimento al nostro desiderio di vero e di bellezza.
Così una certa lentezza nell’analizzare ogni cosa, il silenzio interiore ed esteriore come contesto di quella ricerca, il confronto continuo e critico davanti a testi e testimoni qualificati, una profonda verticalizzazione della conoscenza che arriva a penetrare ogni visibilità superando tutto ciò che è ovvietà, moda e pseudo-cultura senza radici, fanno parte di questa nobile ‘lavoro’.
La fatica del concetto diventa così il nostro pane quotidiano.
Ma questa non è esporsi per un brevissimo tempo al sole delle nozioni prese di qua e di là, per ricevere un certo momentaneo colorito alla nostra conoscenza. I concetti che nutrono la nostra anima e aprono alla vita vera, sono al contrario i concepiti, i partoriti della mente e del cuore nella fatica dolorosa di una attenta ricerca, un camminare in attesa di una luce che ci pervade dopo un lungo stare dentro e sopra le cose. I concetti sono ‘i figli’ nuovi e freschissimi di un autentico pensare, figli di un pensiero che non teme il tempo e che per questo è apportatore di luce, stabilità e gioia.
Così alimentare quel pensiero sorgivo, faticoso e vivo, significa darsi la possibilità di stare nel mondo con un cuore pieno di spirito sempre aperto al vero che ci sorpassa e ci com-prende, significa mettersi in cammino ed aprirsi alla possibilità di non dover ripetere all’infinito gesti, parole, propositi, ma di poter essere sempre nuovi, rinnovati, capaci per ciò stesso di fecondare ancora una volta questo nostro mondo a cui siamo inviati per sanare relazioni umane e percorsi storici.
Gesù ci ricorda che ogni buon discepolo del regno dei cieli trae dal ‘suo’ tesoro cose nuove e cose antiche (Mt 13,51-52). Si, non solo nuove perché se così fosse non si capirebbe più qual’è il fondamento delle nostre azioni e se fossero solo antiche si perderebbe l’apertura a ciò che oggi la storia ci rivolge come sfida e come domanda. Chi solamente ripete è già fuori della storia.
Allora la fatica del concetto e quell’agire abitato da fede e carità non ci spaventa più, non può spaventarci.
Anche lo stare seduto diventa cammino, perché nutre la nostra ricerca di Gesù il Figlio di Dio e per rimettere finalmente sulla terra i suoi passi di giustizia.