Ho sempre pensato che le parole dei cristiani non siano solo una parto della mente, concetti rivestiti di suono.
Ho sempre pensato che c’era qualcosa di più.
In fondo siamo stati creati ad immagine di quel Dio che non solo ha fatto ogni cosa con il soffio del suo Verbo, ma ha anche affidato questo Verbo alla sua Chiesa.
In questa luce, ho ripreso a pensare che la parola della fede, più che una noiosa e stanca ripetizione di informazioni, diventa sulle labbra della Chiesa un’accadimento irripetibile.
C’è in quel misterioso legame, qualcosa di nuovo che pervade continuamente il ‘dire’ della Chiesa e l’uditore della parola, qualcosa che ‘tocca’ e trasforma chi parla e chi ascolta. Infatti – Agostino docet – parlare bene di Dio, donando voce al Verbo suo ( e non al nostro), significa esattamente mettersi al servizio della grazia: come l’acqua che resta sempre fresca e cristallina solo se non è trattenuta ma al contrario è donata, così chi dice bene Dio rinnova continuamente se stesso e chi riceve invece viene dissetato. Tutti e due ricevono beneficio, i primi perché moltiplicano i significati nell’atto del dono, i secondi perché risvegliati dal sonno della morte spirituale.
Così le nostre parole donano al Verbo di Dio la possibilità di una nuova incarnazione, di un nuovo inizio e con ciò, mettono in gioco una nuova azione del Risorto in questo stanco mondo. Esse hanno davvero il potere di ridestare la voce del Maestro nel cuore degli uomini e così comunicano ogni volta consolazione e vita.
Ecco perché la parola di chi crede può diventare come un sacramento della divina verità. Uno strumento vivo della luce del Signore.
… E come potrebbe essere altro una parola che dice l’Amore?
” Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me.
E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10,16).