Maggese è una di quelle parole, tratte dal mondo agricolo, che richiama alla mente una sapienza antica, una sapienza dove secolari esperienze si sono sedimentate in una pratica precisa.
Maggese era sinonimo di riposo.
Era quella parte di terreno lasciato in attesa di una nuova coltivazione. Un pezzo di terra incolto e libero di produrre ciò che voleva.
Tuttavia si badi, non lo si abbandonava completamente, ma veniva curato, ad esempio con 3 – 4 arature più o meno profonde, per evitare che diventasse arido, secco. Con quella stessa aratura si interrava anche ciò che era in superficie, nutrendo così quel terreno con le stesse cose prodotte da sé.
Ora questa pratica, portava in sé una grande saggezza: la terra per dare un buon prodotto ha bisogno di pause, di libertà. Ha bisogna che si distacchi dalla pura efficenza produttiva e si ritiri in se stesso. In questo senso le cure ricevute dal terreno non erano immediatamente volte a produzione, ma a preparare un futuro ricco e genuino.
Il riposo, la cura, l’arricchimento di un pezzo dietro indipendentemente dalla nascita di frutti, l’inefficienza per una efficenza futura, facevano parte integrante di quello sguardo sapienziale che i contadini di un tempo avevano conservato nella loro legge di vita. Essi sapevano bene che spezzare quell’alternanza di produzione e riposo avrebbe significato perdere il buono dei prodotti della terra.
Maggese è parola che interpella anche all’uomo di oggi. Per essere produttivi bisogna fermarsi e per arricchirsi bisogna impoverirsi e tuttavia curarsi, riempirsi di nuove potenzialità.
Nel primo libro della Bibbia ad esempio viene ricordata questa dimensione. È detto che il settimo giorno coincide con il giorno in cui Dio stesso: “cessò …. ogni suo lavoro”. Dio smette di lavorare o meglio smette di creare ma non per questo smette di essere il creatore e così ogni uomo fatto ad immagine di questo Dio è chiamato ad imitarlo ed avere un tempo in cui smette di lavorare di produrre senza per questo smettere di essere uomo autentico, senza cioè smettere di curarsi nell’anima e nello spirito, senza perdere il suo personale cammino verso il suo fine ultimo.
Anche noi abbiamo bisogno di un “maggese”.
Concimarsi, curarsi, ararsi, smuovere le zolle aride della propria vita, senza produrre nulla… senza vedere frutti… contemplare.. osservare ed osservarsi.. senza dire ancora nessuna parola.
Anche noi abbiamo bisogno di un tempo di attesa, in cui l’efficenza ceda il posto alla sapienza e il “conosci te stesso” si apra alla “imitazione di Dio”.
Così quando il kronos diventa Kairos apparirà nuovamente l’opera che Dio attende da noi.