Carismi e Talenti

Il linguaggio televisivo parla spesso di ‘talent’. Ogni rete ne ha uno. Ma ‘talent’ è una parola che ha radici nel lessico cristiano. La cosiddetta parabola dei talenti, che leggiamo in Matteo 25,14-30, è sorgente di quel vocabolario ed è parte dell’insegnamento di Gesù. Essa riguarda esattamente la nostra responsabilità nella storia. San Paolo parlerà poi, più diffusamente, di carismi, di doni dello Spirito di Dio.

Mi sembra che il mondo laico ha visto bene una cosa e ne ha tratto grande profitto non solo economico: lì dove si scoprono talenti si trova anche ricchezza, sia economica sia umana. Li dove ai talenti si permette di esprimersi nei più disparati ambienti (cucina, teatro, università, club, mondo) si crea futuro per tutti, appare una novità. Non per nulla talent è spesso linguisticamente usato come termine affine a quello di smart che indica «intelligenza», «raffinatezza», «eleganza», «vivacità» o «velocità».

Ma il vangelo quando parola di talenti, vuole rivelarci una parte fondamentale dell’esistenza nostra e del mondo a cui apparteniamo. Si tratta di dare senso alla nostra vita e abilitare un personale contributo alla storia umana in generale. Domande del tipo: “che ci faccio io qui, in questa parte del mondo, in questo piccolo paese o città,?” trova qui una prima risposta seria. Ogni vita spirituale deve primo o poi confrontarsi con tale questione.

Ma diciamo anzitutto che in ogni talento si rivela un primo fatto essenziale: Nessuna vita è veramente fallita in partenza, poiché nel dono di Dio si comunica anche un progetto di vita. Dono e progetto di vita sono legati intrinsecamente. San Paolo ricorda diverse volte che a ciascuno è data una particolare manifestazione della divina bellezza, cioè dello Spirito di Dio. Così attraverso i doni di Dio, spesso immeritati, il Signore salva il mondo. Attraverso uno, due, tre, fino a dieci talenti ed oltre, noi veniamo strappati a noi stessi e immessi in un camino di conversione e di operatività per il bene di tutti. Da parte nostra, possiamo non considerare e non curare i doni di Dio, poichè noi restiamo liberi nei doni, ma così parte della nostra vita presente e futura perde bellezza ed il mondo non cambia.

Così è giusto sottolineare una cosa importante : Non siamo noi a darci il talento, ma siamo noi a volerlo fare fruttificare. L’origine è da Dio, la fruttificazione viene anche dalla nostra volontà.

Un ultima cosa.

Ma se tutto ciò è vero, se scopriamo in noi un dono, allora vuol dire che Dio ha guardato proprio me, si è ricordato anche di me. Ecco allora, nessuno può dire: io non valgo nulla, io non posso niente, perché sia il Vangelo che San Paolo dicono esattamente il contrario. Noi siamo e possiamo, perché un dono ci precede, ci eccede e ci dirige. A noi resta il dovere di cercare e discernere il nostro dono, qui la vita diventa sacra.

Specialmente quando la vita si ferma, è stagnante o non si trova più il sapore della gioia, la direzione dei nostri passi, la domanda rimane la stessa e lo stesso rimane l’impegno: perché non curo più il ‘mio’ dono, il mio talento? perché non ritorno ad usarlo per creare bellezza e verità? forse perché – come dice il vangelo – l’ho sotterrato nelle mie preoccupazioni e nei miei problemi, o forse perché qualcuno mi ha scoraggiato nel momento in cui iniziavo a viverlo? .

Non c’è nessuno luogo, nessuna situazione e nessuna persona sulla terra che possa impedire che ‘il mio dono’ dia qualche frutto.

Credo fermamente che nei doni dello Spirito, si riflette il mistero di un Dio che vuole beneficare ogni uomo, credente o non credente. Il Dio che desidera far sentire la sua presenza e la sua cura ad ogni uomo di buona volontà. Quando i carismi sono vissuti allora Dio sarà visto come Colui che salva gli uomini per mezzo di altri uomini.