Leonardo, “omo sanza lettere” come si definiva, aveva un rapporto difficile con la parola scritta. La sua sapienza non aveva uguali al mondo, ma l’ignoranza del latino e della grammatica gli impediva di comunicare per scritto con i dotti del suo tempo. Certo molta della sua scienza egli sentiva di poterla fissare nel disegno meglio che nella parola. (“O scrittore, con quali lettere scriverai tu con tal perfezione la intera figurazione qual fa qui il disegno?” annotava nei suoi quaderni di anatomia). E non solo la scienza, ma anche la filosofia egli era sicuro di comunicarla meglio con la pittura e il disegno.
Ma c’era in lui anche un incessante bisogno di scrittura, d’usare la scrittura per indagare il mondo nelle sue manifestazioni multiformi e nei suoi segreti e anche per dare forma alle sue fantasie, alle sue emozioni, ai suoi rancori. (Come quando inveisce contro i letterati, capaci secondo lui solo di ripetere ciò che hanno letto nei libri altrui, a differenza di chi come lui faceva parte degli “inventori e interpreti tra la natura e li omini”). Perciò scriveva sempre di più: col passare degli anni aveva smesso di dipingere, pensava scrivendo e disegnando, come proseguendo un unico discorso con disegni e parole, riempiva i suoi quaderni della sua scrittura mancina e speculare.
Nel foglio 265 del Codice Atlantico, Leonardo comincia ad annotare prove per dimostrare la tesi della crescita della terra. Dopo aver fatto gli esempi di città sepolte inghiottite dal suolo, passa ai fossili marini ritrovati sulle montagne, e in particolare a certe ossa che suppone abbiano appartenuto a un mostro marino antidiluviano. A quel momento la sua immaginazione deve esser stata affascinata dalla visione dell’immenso animale quando ancora nuotava tra le onde. Fatto sta che capovolge il foglio e cerca di fissare l’immagine dell’animale tentando per tre volte una frase che renda tutta la meraviglia dell’evocazione.
O quante volte fusti tu veduto in fra l’onde del gonfiato e grande oceano, col setoluto e nero dosso, a guisa di montagna e con grave e superbo andamento!
Poi cerca di movimentare l’andamento del mostro, introducendo il verbo volteggiare:
E spesse volte eri veduto in fra l’onde del gonfiato e grande oceano, e col superbo e grave moto gir volteggiando in fra le marine acque. E con setoluto e nero dosso, a guisa di montagna, quelle vincere e sopraffare!
Ma il volteggiare gli sembra attenui l’impressione di imponenza e di maestà che egli vuol evocare. Sceglie allora il verbo solcare e corregge tutta la costruzione del passo rendendogli compattezza e ritmo, con una sapienza letteraria sicura:
O quante volte fusti tu veduto in fra l’onde del gonfiato e grande oceano, a guisa di montagna quelle vincere e sopraffare, e col setoluto e nero dosso solcare le marine acque, e con superbo e grave andamento!
L’inseguimento di questa apparizione che si presenta quasi come un simbolo della forza solenne della natura, ci apre uno spiraglio su come funzionava l’immaginazione di Leonardo. Vi consegno questa immagine in chiusura della mia conferenza perché possiate custodirla nella memoria il più a lungo possibile. in tutta la sua limpidezza e il suo mistero.
(Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano 2016, 59-60)