” Ecco ora siamo giunti al nocciolo della questione.
All’interno della missione generale della Chiesa, è l’offerta della salvezza in Gesù Cristo a dare sostanza allo sguardo dell’apostolo sul mondo perché il “si” dell’uomo a Dio sia possibile. È chiaro che in questo singolare campo non ha senso parlare di previsioni. Qui conta soprattutto vivificare l’amore, la libertà, e il superamento del peccato dell’uomo. In questi ambiti il numero è incapace di qualsi- asi possesso, perché ai numeri ovviamente non interessano affatto risolvere il problema del senso dell’uomo.
Ma allora, ha ancora una senso parlare di previsioni, statistiche, tendenze, necessità? Quale è lo spazio reale di una prospettiva numerabile?
Sì, ha senso parlare di numero. Ma ponendo un argine alla sua onnipretesa.
Se, da una parte, il numero, è: «ritardo», «stasis», «possesso», «atemporalità», «apersonalità», «funzione», «necessità», «apatia», e perciò incapace di produrre vita nuova, salvezza; dall’altro il suo limite originario è legato al fatto che, nell’orizzonte ecclesiale, ci riferiamo a un visibile le cui radici si trovano nell’invisibile.
L’azione della Chiesa è infatti uno «spazio» in cui non solo l’uomo agisce ma anche Dio è all’opera attraverso il suo corpo visibile e lo fa in vista della nostra gioia e salvezza (cfr. Mc 16,20). Negare l’agire di Dio nella storia, caratteristica dominante di una certa idea di modernità e secolarismo, significherebbe eliminare tout court l’insorgenza del fatto cristiano e la nascita della fede sulla terra. La realtà mista a cui la parola, numero, immagine e silenzio, si riferiscono è sempre luogo della grazia, della parola viva e dell’agire degli uomini; perciò il numero, nella misura in cui quantifica l’aspetto della visibilità, può suggerire qualche elemento di conoscenza, ma non tutto.
La saggezza del pastore in cura d’anime sta dunque nell’accogliere l’apporto proprio che proviene dal numero ponendolo contestualmente nel cammino della verità integrale che pone l’uomo in cammino verso il mistero di Dio. Così il numero può dire la sua senza pretendere l’ultima parola, cogliere, senza esaurire tutto il reale, indicare una strada senza emarginare la via di Dio. Il numero diventa un passo nel cammino di quella verità più grande che riconosce Dio e la sua azione come precedente ed eccedente ogni campo d’interesse umano. Questo aspetto il pastore in cura d’anime non può non tenerne conto.”.
D. Concolino, Dio e i numeri incapaci. Sulla relazione tra matematica e vita ecclesiale, Soveria Mannelli, Rubbettino 2015, 47-48.