Che la fede nel Dio di Gesù Cristo non escluda la fatica del pensare l’ho creduto fin dal momento in cui iniziai a credere in Lui.
Capitava molto spesso infatti, ovunque dicessi qualche parola su Dio manifestando il mio credo, che immediatamente mi si chiedeva il perché di quel dire e il perché del mio fare. Ciò suscitava in me sorpresa, e mi chiedevo perché per me era tutto così semplice ciò che per gli altri era così improbabile?
A volte rimanevo stupito, senza risposta, era come se il cuore avesse percepito una verità ed una bellezza prima ancora che la mente potesse afferrarla e comunicarla con semplicità. Restava perciò in me, l’immane fatica del continuo “rendere ragione” della mia fede. Tuttavia riconosco, a distanza di molti anni, come quel faticosissimo tempo fu per me vera grazia, vera spinta al cambiamento del mio pensare e del mio vivere.
Era come se l’elaborazione attenta di un pensiero che desse ragione al mio credo, facesse diventare la mia vita sempre più debitrice dell’opera di Dio e della Chiesa, Madre di ogni verbo e madre di ogni pensare. Pensare le cose di lassù era diventato il pane quotidiano della mia ricerca di Dio.
Così camminando nella fede iniziai a formarmi e a spiegare a me stesso, con l’aiuto di ottimi sacerdoti e teologi, ciò che aveva già toccato la mia vita e tuttavia mi rimaneva ancora sconosciuto. Mi dicevo: l’intera fede cristiana (e dentro di essa il mio credo) non poteva certo vivere dentro un culto senza logos, ma piuttosto bisognava arrivare ad una “λογικὴν λατρείαν” (cf. Rm 12,1) e la divina parola che aveva ridestato la mia vita dal sonno di morte in cui era caduta poteva ora, nonostante tutto, aprirmi verso una vita di carità e di comunione. Ma se la grazia dell’incontro con Dio non aveva tolto in me la fatica della ricerca e la fatica del concetto, ciò non era tutto, bisognava ancora spiegare a chi chiedeva ragioni, l’importanza non solo una ‘parola udita’, ma anche e soprattutto la “parola vissuta”. Bisognava cioè diventare luce per gli altri per essere credibili. li, in quel dire e in quel spiegare l’amore incontrato, tutto il mio cuore, trovava il fuoco della pace.
A distanza di anni notai ancora che il credere era divenuto per me, un vedere con la mente Colui che mi aveva chiamato interiormente toccato con la sua grazia. Egli non smetteva mai di parlare al mio cuore ogni volta che udivo la sua voce in Chiesa e nelle Scritture. Cominciai perciò a leggere, a studiare, dialogare ed indagare, giovandomi persino delle altrui eresie per capire non solo ciò che non apparteneva a Dio ma pure potevo con precisione sempre più vera gustare la larghezza, la profondità e l’altezza della luce di Cristo Dio. Ovunque la verità del cielo si faceva presente, era mia gioia fissare lo sguardo su di essa: santi, dottori, confessori della fede, apostoli e profeti, teologi antichi e moderni divennero miei amici, come pure in in tutta la storia della Chiesa anche in scienziati, scrittori, poeti, musicisti, trovavo tracce ed immagini di quello stesso unico Dio che avevo incontrato ed amato. Credere sempre più si trasformò in un pensiero di comunione con il grande deposito della fede, un pensiero animato dallo Spirito di Dio portatore di ogni gioia e dolcezza.
Capì ancora, guardando fuori di me, che le persone di fede, non si fermavano mai alle piccole luci che quotidianamente incontravano, ma strutturalmente erano aperte sempre di più a quella luce più grande, quella luce che promana dal verbo incarnato qui ed ora, una Luce che eccede e procede ogni piccola luce. Capi ancora che fondamentalismo è la brutta parola che definisce un credere senza il pensare, un andare senza comunione con chi già crede.
Capii anche perché di alcune defezioni.
Molti avevano smesso di animare la propria fede con un pensiero vivo, profondamente ecclesiale, un pensiero capace di discernere il vero delle cose dette e credute: Vedevo infatti in alcuni una fede che giorno per giorno s’indeboliva. Tutto per loro era diventato solo una pratica senza cuore e senza mente. Una tecnica senza vita. Anche la grazia dei sacramenti faticava in loro. Dimenticando il continuo lavorio del riflettere su Dio, erano divenuti preda di idoli e del loro stesso sentimento. Quella roccia interiore che cresceva amando, pregando e pensando le cose di Dio, roccia che stabilizza ogni cuore nel vero nel giusto e nel santo, era divenuta sabbia.
Così, alla fine, il quotidiano pensare, discernere, lo sforzo di ottenere una verità sempre più chiara da vivere ed amare, aveva dato i suoi frutti: credere pesando e vivendo nell’amore e per amore era diventata per me una vera e propria consolazione dello spirito, un balsamo sulle ferite quotidiane, una difesa nella continua tempesta della non credenza e della ambiguità della vita. Pregai perché il Signore mai facesse venire meno il mio vivere credente.
Così ancora oggi credo!
Perché credendo possa pensare, pensando possa amare e amando possa vivere di Cristo, possa vivere solo e soltanto di quella parola che si fece carne nel grembo della Vergine Maria. Amen.