La parola umana unisce in sé due dimensioni. Da una parte è suono, voce e perciò tempo breve. Tu dici qualcosa e questo che dici resta vivo per pochi attimi, il tempo necessario perché l’orecchio colga il suo suono, la voce che dice…. ma poi tutto sparisce, torna il silenzio, torna ciò che è necessario che ci sia tra una parola ed un’altra: il grembo naturale di ogni nostra parola. Tuttavia proprio questo suono breve lascia qualcosa in noi, lascia cioè un suo significato, noi diremmo un concetto (un concepito, qualcosa che è partorito dalla nostra mente) un contenuto di quel suono che si deposita nella nostra anima, divenendo, se ravvivato sempre, materiale a servizio della memoria e del ricordo.
Così, la voce passa, il concetto resta.
Le nostre parole hanno dunque il compito di tradurre in suoni e significati ciò che è presente nel nostro spirito e donarli all’altrui anima, fissando in essa un “verbo”, un’altra parola che abita l’interiorità di chi ascolta che, se fatta propria dalla volontà, ha il potere di trasformare lo sguardo sul mondo e persino su noi stessi.
Le parole infatti non sono sempre neutrali.
Se qualcuno ci lancia un insulto o ci dice una parola d’amore vera, il suono passa ma la parola interiore resta, si fa presenza in noi, ci fa male o ci dona dolcezza. La psicologia studia e conosce molto bene questi dinamismi e sa pure che certe parole generano ‘malattie’ senza materialmente toccare nessun organo del nostro corpo. Esiste perciò una malattia dello spirito come esiste una malattie del corpo fisico.
Ecco perché esiste realmente una responsabilità nel nostro parlare. Esiste un etica del linguaggio, una correttezza del dire e dello scrivere che rifiuta inganno e compromissione. Gesù nel vangelo ammonisce: “… che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio” (Mt 12,36). Le parole infondate sono quelle non vere, senza fondamento nella verità, piene d’inganno di malizia, parole che illudono l’uomo nella inevitabile ricerca della verità, che dicono una interiorità malvagia.
Così le nostre parole lasciano sempre in chi ascolta un “depositum”, un contenuto interiore. Per questo esigono correttezza e verità, ma anche bellezza e bontà e poiché traggono linfa dall’interiorità, dal cuore dell’uomo è questo cuore che bisogna cambiare affinché le parole viste ed udite (scrittura e voce) lascino dentro di chi ascolta bellezza e verità.
Come sempre è l’invisibile che c’è in noi il fondamento del visibile che è fuori di noi.
“Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato”. (Mt 12,33-37).
(cf. Agostino, Sermone 1)