Quella leggerezza del Verbo di Dio

I saggi hanno una parola semplice perché la semplicità è proprio dei principi primi.

Così anche il primo incontro con Gesù Maestro si fa inizialmente portando una parola semplice, breve, luminosa, da amico ad amico. Potremmo dire: prima c’è un annuncio poi un’approfondimento, prima c’è un’attrazione interiore poi una spiegazione ampia e dettagliata. Proprio come avvenne con Mosè che prima vide un roveto che ardeva ma non si consumava, poi, avvicinatosi a quello spettacolo meraviglioso, conobbe Dio e la sua volontà (cf, Es 3,1-22). Proprio la semplicità di una parola, di un gesto, di un’incontro è inizio “leggero” di Dio.

Ora, la parola di Dio si sa, è come un fuoco che tocca, brucia, converte e guarisce, mentre la parola degli uomini ha da Dio il potere di contenerla, e così, se non si sostituisce ad essa, anch’essa è portatrice di forza che tocca i cuori e li converte. Il problema sorge, appunto, quando la parola degli uomini pretende di occupare tutto lo spazio disponibile escludendo l’altra Parola, l’unica necessaria, in questo caso l’uomo è al centro e Dio non c’entra più. Così quando tutto il mio dire non dà più spazio ad dire di Dio, quando la mia mente è il centro e la fonte di ogni mia parola senza realmente prendere in considerazione che c’è un volere di Dio, la mia parola subisce una trasformazione, diventa pesante, assonnante, pigra, magari profonda intellettualmente ma affatto efficace dal punto di vista della gioia del cuore.

Essa diventa parola che dice molto “su” Dio ma non lo dona, non partecipa più né alla sua bellezza né comunica la sua dolcezza. Forza e Bellezza di Dio si ritirano da noi e dalle nostre parole.

Ma se ridiamo spazio al Verbo di Dio attinto dalla scrittura e dalla fede creduta dalla Chiesa, se lo nascondiamo come il sale nella farina del nostro linguaggio, la nostra parola riacquista luce, consegnandosi a Dio diventa leggera, come brezza della sera, e finalmente la grande bellezza  si consegna nelle nostre parole facendole diventare fuoco.

La leggerezza di questo verbo incarnato (nel senso di parola di Dio unita alle mie parole) sta nel fatto che con semplicità dico ciò che Dio vuole e che ciò che Dio vuole mi sforzo di vivere. Non si tratta dire molto, si tratta di dire bene.

Ma se ci chiediamo, alla fine, come accade questo “dire di Dio” dentro le nostre parole, dobbiamo confessare che esso non ci troviamo davanti ad un nostro possesso ma ad una grazia concessa dall’alto. L’uomo infatti può possedere le parole che dice ma Dio “possiede” la grazia che può donare. Quel “dire di Dio” chi può garantire che accada sempre? Per questo può essere solo la conseguenza di una preghiera e di quel santo timore – principio della sapienza – che toglie a noi ogni sicurezza.

Noi potremmo essere padroni di un contenuto dottrinale ma non della efficacia di salvezza. Potremmo essere sicuri di dire cose corrette su Dio ma non sicuri che il nostro dire tocca il cuore di chi ascolta. Così l’efficacia del nostro “dire Dio” è pura grazia del cielo.

Le nostre quotidiane parole, allora, possono davvero essere “leggere” semplici, belle ed attraenti, senza necessariamente entrare in complicate definizioni e percorsi mentali strutturati, per donare Dio. In fondo Francesco udì nell’orecchio una parola “leggera” ma nel cuore divenne fuoco che lo consumò per tutti i suoi 44 anni: “Và Francesco, ripara la mia Chiesa, che come vedi va in rovina”.

Possa il Signore darci oggi una parola leggera.

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