Contemplari et contemplata aliis tradere, lo aveva pensato già Domenico di Cuzman: attingi in Dio, dalla comunione con Lui e dall’ascolto della parola sua, le cose buone del cielo e poi comunicale agli altri, non le trattenere solo per te, poiché ogni cosa che proviene da Dio non si chiude in uno scrigno come un possesso ma deve diventare un Dono. Queste se rimangono in noi diventano acqua stagnante, se comunicate ai fratelli diventano per noi gioia. Contempla e dona, dunque.
Ma attingere la Parola da Dio dopo lunga riflessione e preghiera significa anche qualificare il nostro dire. In questa via ogni nostra parola diventa saporita, sapiente, irripetibile. I santi (portatori dello Spirito) non ripetevano mai le stesse cose con le stesse parole, ma il Dio che vive in loro nel comunicare la stessa ed unica Verità, Cristo Salvatore, lo fa con parole nuove.
Mentre la verità che si trova nella Parola è sempre “una” le parole che la esprimono sono “molte”. Cristo Gesù è lo stesso ieri oggi e sempre ma le nostre parole che ci ricordano lui non possono essere identiche oggi e sempre, devono piuttosto essere sempre fresche, attraenti, irripetibili. Sono queste le parole che nascono dall’amore e perciò sono avvolte dallo Spirito di novità.
Oggi manca questa qualità umana del Verbo di Dio, manca la nostra parte nel dono della parola. Senza riflessione personale, comunione col Verbo nello Spirito, tutto il nostro dire scade, perde vivacità, si staticizza e anzi col tempo diventa necrosi. Non basta che un prete dica ufficialmente nella sua predica cose su Dio, c’è invece necessità che anche nel mondo feriale tutti dicano parole nuove che però nascono dall’incontro purissimo col cielo. Questa parola il mondo attende.
l’irripetibilità è la caratteristica più genuina dell’incontro con Dio e delle parole che lo esprimono.
“Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”
(Sal 50,17)