“Noi non conosciamo piú quel sacro tacere che ci eleva alla vita divina, fino al cielo. La beata dimenticanza di sé cede il passo all’eccessiva autoproduzione dell’ego. L’ipercomunicazione digitale, la connessione senza confini non crea legami, non crea mondi. Anzi, ha un effetto isolante e accentua la solitudine. L’Io isolato, privo di mondo, depresso, si allontana da quell’esser soli foriero di gioia, da quella sacra cima del monte.
Abbiamo eliminato qualsiasi trascendenza, qualsiasi ordine verticale che necessiti del silenzio. Il verticale cede il passo all’orizzontale. Nulla svetta. Nulla si approfondisce. La realtà viene livellata riducendosi a flussi di informazioni e dati. Ogni cosa s’allarga e prolifera. Il silenzio è un fenomeno della negatività. Esso è esclusivo, mentre il baccano deriva da una comunicazione permissiva, estensiva, eccessiva.
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Il silenzio scaturisce dall’indisponibile, che accentua e approfondisce l’attenzione creando uno sguardo contemplativo dotato della pazienza per il lungo e il lento. Là dove ogni cosa è disponibile e raggiungibile non si crea alcuna attenzione profonda. Lo sguardo non indugia: vaga come quello di un cacciatore.
“l’anima non prega piú. Si produce. La comunicazione estensiva distrae l’anima. Col silenzio sono possibili solo attività simili alla preghiera. Ma la contemplazione si oppone alla produzione. La coazione a produrre e comunicare distrugge l’inabissamento contemplativo.
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Il disastro della comunicazione digitale prende le mosse dal fatto che non abbiamo piú tempo per chiudere gli occhi, i quali anzi sono costretti a una «voracità continua»7. Essi smarriscono il silenzio, la profonda attenzione. L’anima non prega piú.
Il baccano è spazzatura acustica e visiva che colma l’attenzione fino all’orlo.
(Byung-chul Han, Le non cose. Come abbiamo smesso dio vivere il reale, Einaudi, Torino 2022)



