“Nel silenzio della natura l’uomo insegue almeno tre stati: la contemplazione, lo stupore e il raccoglimento.
L’esploratore alpinista Erling Kagge racconta di amare l’avventura per il piacere dello stupore, e di quella dote che il silenzio ha di farlo affiorare dalle cose, muovendole dall’inerzia emotiva in cui le avevamo chiuse a chiave. É per questo che il silenzio naturale gode della semplicità: il disegno di pochi tratti forti e ribelli a rigore geometrico, l’epifania della luce o i velamenti della notte, e poi il guscio, il detrito, il bocciolo, la piuma, il colore che sfuma.
E si nutre della lentezza.
In ultima analisi, però in silenzio, lo estraiamo da noi stessi, e alcune forme di disciplina e meditazione ci ha the sono a metterci dinanzi allo specchio del silenzio interiore.
Secondo la monaca buddista Kankyo Tannier, anche sopra un bus o nel mezzo di una conversazione “a volte il silenzio è un imboscata. Tra le parole, le immagini abituali, tra le sensazioni familiari esiste un universo parallelo, una calma assoluta e benefica, il cui accesso è gelosamente custodito dalle sentinelle della concentrazione e dalla coscienza piena” e l’obiettivo di chi ricerca la quiete e l’oblio sonoro, lasciare che i suoni attraversino il corpo senza prestarvi attenzione”.
(R. Bassetti, Storia e pratica del silenzio, Torino 1019, 235)



