L’errore qui sta proprio, mi sembra, nel rappresentarsi lo scritto filosofico antico sul modello dello scritto filosofico moderno. In primo luogo e in generale, infatti, questi due tipi di scritto sono estremamente diversi.
Come scrive il linguista Meillet:
“L’impressione di lentezza data dalle opere letterarie antiche proviene dal fatto che esse fossero composte per una lettura orale”
Si potrebbe dire che lo scritto antico ha sempre più o meno una dimensione orale. A maggior ragione, lo scritto filosofico antico ha uno stretto rapporto con l’oralità. Esso è sempre legato, in un modo o nell’altro, a delle pratiche orali, sia che, come in Platone o in molti altri dialoghi dell’antichità, voglia dare allettare l’illusione di partecipare a un evento orale, sia che, in generale, sia destinato a una lettura pubblica.
Lo scritto non è scritto per se stesso, ma è solo un punto d’appoggio materiale per una parola destinata a ridiventare parola, come il disco o la cassetta moderni, che sono solo degli intermediari tra due eventi: la registrazione e il riascolto. Alla simultaneità spaziale dell’opera scritta moderna, si oppone la successione temporale della parola antica, consegnata per iscritto.
Lo scritto filosofico moderno somiglia a un monumento archi- tettonico, in cui tutte le parti coesistono: si può andare dall’una all’altra per verificarne la coerenza. L’opera filosofica antica, inve- ce, somiglia più a un’esecuzione musicale, che procede per temi e variazioni.
Legato, in un modo o nell’altro, all’evento dell’insegnamento orale, e rivolto quindi innanzitutto a un gruppo che ascolta il maestro o discute con lui, lo scritto filosofico antico richiede, per essere compreso, non solo che se ne analizzi la struttura, ma che lo si situi nella praxis viva da cui emana e in cui si reinserisce.
In altri termini, sullo sfondo dello scritto filosofico antico c’è la vita di una scuola, cioè della comunità di discepoli cui prioritariamente si rivolge il filosofo, e grazie alla quale sarà conservato il ricordo delle sue parole; c’è un filosofo che parla, non per erigere un edificio di concetti, ma per formare questo gruppo di discepoli, sia attraverso discussioni, sia grazie a un corso magistrale.
Possiamo quindi dire che tutto quello che i moderni considerano, dal loro punto di vista, come difetti di composizione, come incoerenze, se non contraddi- zioni, deriva, in primo luogo, dai limiti specifici dell’insegnamento orale di cui, in un modo o nell’altro, si ritrova l’eco nello scritto filosofico.
(P. Hadot, Studi di filosofia antica, Pisa 2014, 219 – 220)



