Sul tempo del leggere e i suoi frutti | Rainer Maria Rilke (1875 – 1926) – Scrittore, poeta, drammaturgo

… Ora vi si aprirà Niels Lyhne, ch’è un libro di magnificenze e di profondità; quanto più sovente vi si legge, tutto vi sembra contenuto della vita, dal più sommesso profumo al pieno grande sapore dei suoi frutti più gravi. 

Nulla è in esso che non sia stato compreso, afferrato, provato e riconosciuto nella tremante vibrazione della memoria; nessuna esperienza è apparsa troppo meschina, e il più piccolo avvenimento si spiega come un destino, e il destino medesimo è come un vasto arazzo meraviglioso, in cui ogni filo sia condotto da una mano infinitamente delicata e accostato a un altro e retto da mille altri. 

Proverete la grande felicità di leggere questo libro per la prima volta, e camminerete per le sue innumerevoli sorprese come in un nuovo sogno. Ma io vi posso dire che anche più tardi si percorrono questi libri sempre col medesimo stupore e nulla essi perdono della loro meravigliosa forza e nulla abbandonano della favolosità, di cui colmano il lettore la prima volta.  Solo li si gode sempre più, con sempre maggior gratitudine, e, in qualche modo, migliori e più semplici nel guardare, più profondi nella fede alla vita e nella vita più beati e grandi.

  E più tardi dovete leggere il meraviglioso libro del destino e della nostalgia di Maria Grubbe e le lettere e le pagine di diario e i frammenti di Jacobsen e infine i suoi versi, che (benché tradotti mediocremente) vivono in un’infinita risonanza….

    Con la vostra opinione su Qui dovevano esserci rose (quest’opera di così incomparabile finezza e forma) avete naturalmente piena, incontestabile ragione contro chi ha scritto l’introduzione. E qui subito una preghiera: leggete il meno possibile scritti di critica estetica, sono o opinioni faziose, impietrate e ormai senza senso nel loro inanimato irrigidimento, o abili giochi di parole, in cui oggi vince questo parere e domani il contrario. Le opere d’arte sono di un’indicibile solitudine e nulla le può raggiungere poco quanto la critica. Solo l’amore le può abbracciare e tenere ed esser giusto verso di esse. Date ogni volta ragione a voi stesso e al vostro sentimento di contro a ogni simile interpretazione, trattazione o introduzione; se doveste aver torto, la crescita naturale della vostra intima vita vi condurrà lentamente e col tempo a ravvedervi e ad altri avvisi. Lasciate ai vostri giudizi il loro proprio sviluppo indisturbato, che – come ogni progresso – deve venire dall’intimo profondo e non può essere per nulla represso o accellerato.  

Tutto e portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe di un sentimento dentro di te, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio il raggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto di una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprendere come nel creare.

Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz’apprensione che l’estate non possa venire. Ché l’estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l’eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia. Io l’imparo ogni giorno, l’imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!

Lettere a un giovane poeta, Lettere a una giovane signora, Su Dio, Adelphi, Milano 2014, 15-19