«O servo fedele, io, una povera donna, ti dico queste parole rivelatemi nella visione veridica […]. Dio opera dovunque vuole, a gloria del suo nome e non di quello delle creature terrene. Perciò io sono sempre in trepidazione e timore, perché so di non avere in me stessa sicurezza di potere alcunché. Ma offro a Dio le mie mani perché, come un uccellino privo di ogni forza e peso che vola portato dal vento, egli mi sostenga; né posso comprendere perfettamente le cose che vedo, finché sono composta di corpo e anima invisibile, perché in questa composizione duplice risiedono le mancanze dell’anima umana.
Fin dall’infanzia, quando ancora i miei nervi, le ossa e le vene non avevano raggiunto la pienezza della forza, e sino al tempo presente, ho sempre avuto nell’anima queste visioni; e oggi ho più di settantadue anni; in queste visioni la mia anima, come piace a Dio, ascende fino agli estremi del firmamento e segue le correnti di venti diversi, raggiungendo genti diverse, per quanto lontane e sconosciute. E poiché nell’anima vedo tutte le cose in questo modo, nella mia visione patisco le vicende delle nubi e degli altri elementi del creato. Queste cose non le percepisco con le orecchie esteriori, né le penso segretamente fra me, né le apprendo mediante l’uso congiunto dei cinque sensi; posso dire soltanto che le vedo nell’anima, e che i miei occhi esteriori sono aperti, cosicché mai in esse ho subito il mancamento dell’estasi; io le vedo di giorno e di notte, ma sempre da sveglia. E sempre sono oppressa dalle infermità, e spesso soffro di così gravi dolori, che mi pare minaccino di uccidermi; ma fino ad oggi Dio mi ha guarita.
La luminosità che vedo non è racchiusa in un luogo, ma ha uno splendore maggiore di quello della nube che passa davanti al sole; non so distinguere in essa altezza, lunghezza e larghezza; ed essa ha per me nome «ombra della luminosità vivente». E come il sole, la luna e le stelle appaiono riflessi nell’acqua, così le scritture, i discorsi, le virtù e le opere degli uomini risplendono per me in quell’apparizione.
Tutto quello che vedo e apprendo nelle visioni, lo conservo nella memoria per lungo tempo, cosicché ricordo ciò che una volta ho visto; e contemporaneamente vedo, ascolto e apprendo, e quasi nello stesso momento ciò che apprendo lo comprendo; ma quello che non vedo non lo so, perché sono incolta e a malapena so leggere. Le cose che scrivo delle visioni le ho viste e udite; e non aggiungo altre parole oltre a quelle che sento e che riferisco, in un latino imperfetto, come le ho sentite nella visione; poiché nelle mie visioni non mi si insegna a scrivere come scrivono i filosofi, e le parole udite nella visione non sono come quelle che risuonano sulla bocca degli uomini, ma come fiamma che abbaglia o come una nube che si muove nella sfera dell’aria più pura.
Di questa luminosità non posso conoscere la forma, più di quanto non possa guardare direttamente la sfera del sole. Talvolta, ma non di frequente, vedo all’interno di questa luminosità un’altra luce, che chiamo «luce vivente»; non so dire quando e come io la veda; ma quando la vedo si allontanano da me tristezza e angustie, e mi comporto allora con la semplicità di una fanciulla, e non come una donna ormai vecchia»
(Ildegarda di Bingen, Lettera “De modo visioni sue” scritta a Ghiberto di Gembloux, monaco dell’abbazia di Villers nel Brabante | corrispondenza tra il 1175 1 il 1177.



