Tardi ho cominciato a scrivere.
Molto tardi. E non perché non sapessi usare l’alfabeto, tentando di spiegare ciò che vedevo o ciò che ancora non vedevo. Ma la pratica di scrittura come capacità di distanza, memoria e profezia mi era sconosciuta. La mia parola non aveva ancora raggiunto lo spazio della interiorità, abitando il palazzo dell’anima, e neppure aveva la consapevolezza del suo potere trasformante. Non capivo ancora che siamo fatti della stessa sostanza delle nostre parole, di quelle che diciamo e di quelle che non diciamo.
Ad ogni modo scrivere, era per lo più un nominare le cose, descriverle, a volte era una specie di lista della spesa e nulla più. Necessaria per spiegare qualcosa ma non per incontrare qualcuno.
Ma sbagliavo. Avevo visto sola la metà della faccenda.
E tardi ho cominciato anche a leggere.
Molto tardi. Parlo di quella lettura senza una immediata utilità. Il mio era solo un leggere per.. , in vista di… mi dedicavo a saggi, manuali, trattati. Ma piano piano cuore e parole si rinsecchivano, diventavano isole, molto lontano dalla terraferma, lontanissime dalla vita. A quei tempi solo la lettura del Vangelo e di qualche testo spirituale mi ristoravano.
In quelle letture, della parola mi mancava la caratteristica del nutrimento, della contemplazione disinteressata, della meraviglia, dell’illuminazione interiore, del capire per aiutare gli altri. Quanta strada ancora bisognava fare! Così iniziai a cercare. Ora ogni lettura, ogni singolo atto di lettura, avrebbe dovuto essere anche una terapia dell’anima, una salutare sospensione interiore del tempo, un’attesa, un vedere dove si va con la vita.
Insomma imparai a leggere per leggermi, per mettersi in discussione, per intravedere possibilità di nuove forme di esistenza, dialogando, come dice Marcel Proust, silenziosamente con me stesso. Leggere e dialogare, dialogare – mentre si legge – come me stesso e con gli altri , ecco il nuovo passo da fare.
Addirittura in certi casi, mi sorprendeva scoprire come il Signore stesso era presente proprio li dove non ti aspetti, in luoghi, circostanze e persone molto lontane dalla fede, eppure – leggevo con gioia – il suo richiamo era vivo e pressante. Leggere perciò era diventato il mio pozzo di acqua pura nel deserto della vita, la mia concreta possibilità di incontro con mondi diversi. Ora pezzi di esistenza si riversavano nel mio grembo come un dono, come una grazia esattamente mentre silenziosamente leggevo.
Infine tardi, molto tardi, ho iniziato a trasformare il mio linguaggio.
Le mie parole, cercavano adesso un respiro diverso. Le desideravo nuove, fresche, concrete e soprattutto non ripetitive. Ora potevano nascere e rinascere da pensieri fecondati da letture e scritture diverse, ampie, quanto più possibile luminose. Capivo che solo delle parole nuove, gravide di spirito, potevano illuminare e cambiare i miei gesti e il mio modo di vivere. Per questo iniziai a cercarle ovunque. Cercavo parole che mi portavano il sapore della vita autentica, la memoria dell’esperienza di Dio tra gli uomini. Senza la loro compagnia mi sentivo buttato fuori dalla storia, come fermo sul balcone di casa o affacciato alla finestra, mentre tutto il mondo scorreva davanti a me.
Ora le parole, le mie parole, impastate di suono, energia, concetti, parlano più di ieri. Lo sento. Li penso come ponti, come sentieri che aprono il passaggio verso gli altri, luoghi in cui darsi appuntamento con la vita vera. Poi, lo so, arriveranno anche nuovi gesti, nuovi programmi, altre decisioni.
Tardi ho cominciato a leggere e scrivere, e ancora sono in cammino. Ma forse, forse, proprio perché si resta in cammino la via da percorrere si fa più chiara. Qualcuno ha detto che camminando si apre cammino.



